Libri

Unione di sangue


Come per molte altre persone che lavorano in proprio, anche le mie giornate sono lunghe e iniziano la mattina presto. Quindi, se qualcuno mi telefona nel cuore della notte, è meglio sia una questione di vita o di morte.
«Ciao Mercy» disse l’amabile voce di Stefan al mio orecchio. «Mi chiedevo se potessi farmi un favore.»
Stefan le questioni di vita le aveva finite da un pezzo, per cui non trovai alcuna ragione per essere gentile con lui. «Ho risposto al telefono alle…» guardai con la vista annebbiata i numeri rossi della sveglia poggiata sul comodino «tre del mattino.»
Va bene, non è esattamente ciò che dissi. Potrei aver pronunciato anche qualcuna di quelle parole che un meccanico usa quando bulloni e alternatori gli cadono sui piedi.
«Immagino tu possa chiedermi anche un secondo favore,» continuai «ma preferirei riagganciassi e mi chiamassi a un orario più civile.»
Rise. Forse pensò stessi cercando di fare la spiritosa. «Ho un lavoro da fare, e credo che i tuoi talenti sarebbero utilissimi per assicurare il successo dell’impresa.»
Le creature antiche, per lo meno secondo la mia personale esperienza, amano restare sul vago quando ti stanno chiedendo di fare qualcosa. Io sono una donna pratica, e sono convinta sia sempre meglio andare dritta al nocciolo della questione il più in fretta possibile.
«Ti serve un meccanico alle tre del mattino?»
«Sono un vampiro, Mercedes» disse con gentilezza. «Le tre del mattino sono ancora prima serata, per me. Ma non mi serve un meccanico, mi servi tu. Mi devi un favore.»

Patricia Briggs, Unione di SangueFanucci editore (2011)

Tradotto dal vostro affezionato Uomo Ragno di quartiere. Compratelo, che sennò pensano che io non sia abbastanza bravo!

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Mi chiamo Samuel


«Ma tu perché sei nero?»
Il bambino è carino e mi chiede questo, proprio questo. Sto registrando un programma televisivo per i ragazzi e lui è tra il pubblico, a pochi centimetri da me. Forse sono un suo eroe. Mi ha detto che è tifoso dell’Inter. Sicuramente mi vuole bene. Mi guarda e aspetta una risposta.
«Ma tu perché sei nero?»

Il problema è che non so cosa rispondere. Quella domanda mi spiazza. «Sono nero come tu sei bianco. Perché i miei genitori sono neri e io sono nato da loro. Un giorno magari nella tua famiglia ci sarà qualcuno come me. Comunque sia, il mondo è soltanto uno.»
Questo avrei dovuto dirgli, invece ho fatto un sorriso un po’ ebete, spiazzato, come molti portieri di fronte a un mio tiro. Il razzismo per me è solo ignoranza. Nel senso vero della parola.
Mi ricordo molti anni fa che in qualche piccolo villaggio della Spagna, dove non c’era stata immigrazione, i bambini si avvicinavano e ti sfioravano la pelle. Incuriositi e al tempo stesso impauriti da qualcosa che non conoscevano. Sarà stato il sole? O il fuoco? Ti sei abbronzato troppo…?
Per questo è importante spiegare, conoscere, viaggiare. Grazie al calcio non ho avuto solo la fortuna di diventare ricco e famoso, ma soprattutto quella di girare il mondo e imparare lingue che prima non conoscevo. Oggi parlo doualese (le persone del resto del Camerun non capiscono una parola…), camerunese, francese e spagnolo. In italiano e pure in inglese mi difendo. Quando smetterò di giocare potrei aprire un’agenzia di traduzioni… Grazie al calcio ho avuto gioie pazzesche. Però ho sentito pure un sacco di “buuu” che non avevano proprio senso.
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Costretta al silenzio


Amanda Horner aveva smesso di credere ai mostri all’età di sei anni, quando ancora sua madre controllava nell’armadio e guardava sotto al letto ogni notte. Ma a ventun anni, legata e martoriata, stesa nuda su un pavimento di cemento freddo come il ghiaccio, riprese a crederci.
Avvolta dall’oscurità, ascoltò il suo cuore martellare pesantemente. Non riusciva a smettere di tremare. Non poteva impedire ai suoi denti di battere. Ogni piccolo suono la faceva irrigidire nel timore che il mostro ritornasse.
All’inizio aveva sognato di poter fuggire o di riuscire a convincere il suo rapitore a lasciarla andare, ma Amanda sapeva essere realista, sapeva che non sarebbe finita bene. Non ci sarebbero state trattative, nessun salvataggio della polizia, nessuna sospensione dell’ultimo momento. Il mostro l’avrebbe uccisa. Non era più una questione di se, ma di quando. L’attesa era quasi terribile quanto la morte stessa.
Non sapeva dove si trovava, né da quanto tempo era lì. Aveva perso ogni cognizione del tempo e dello spazio. Tutto ciò che poteva dire era che il luogo in cui si trovava puzzava di carne marcia, e che ogni piccolo rumore rimbombava come in una grotta.
Gridare l’aveva fatta diventare rauca, cercare di liberarsi l’aveva resa esausta. Era avvilita dalle atrocità che le aveva inflitto. Una piccola parte di lei avrebbe voluto che questa terribile lotta per sopravvivere, semplicemente, finisse. Ma mio Dio, quanto voleva vivere…

Linda Castillo, Costretta al silenzio, Fanucci editore (2010).

Il primo romanzo tradotto dal vostro affezionato Uomo Ragno di quartiere.

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Ragionamento fra il Re e Bertoldo


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“American Psycho”: l’ipnoticità del disgusto


Christian Bale in un'immagine pubblicitaria del filmIl romanzo di Bret Easton Ellis in oggetto è uno dei più controversi libri dell’ultimo decennio. Scritto nel 1991, è la storia di un broker di Wall Street che passa le sue notti tra videocassette porno e cani torturati, con una spruzzatina di coca e pasticche varie, quando ha voglia. Quello che ha reso il libro così controverso è la lucidità che ha il protagonista di giorno (eccezionali i capitoli sui Genesis, Whitney Houston e Huey Lewis and the News), contrapposta alla confusione mentale che dimostra quando è in crisi “mistica”.

Patrick Bateman è un malato del salutismo e dell’eleganza che abita nello stesso palazzo di Tom Cruise. Non perde occasione, quando è a pranzo con gli amici, di criticare l’abbigliamento altrui e non dimentica mai di fare ginnastica la mattina, o di mettersi un chilo di gel sui capelli prima di uscire di casa. Per non parlare del fatto che, come tutti i suoi amici e colleghi, è convinto di essere immune a qualunque malattia, in particolare all’AIDS. Continua a leggere

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Echi perduti


echi“Credo che tu sia un dannato pezzo di merda di cane, un pezzo di merda fibrosa e sbiancata dal sole, esposta al vento su una collinetta infestata dalle formiche. E penso anche che tu voglia che le cose e le persone intorno a te siano a loro volta morte e smunte. Non sopporti il fatto che Harry abbia dei progetti e delle speranze e che possa smettere di bere. Perché, se così fosse, che ruolo ti resterebbe? Chiunque non sia cresciuto insieme a te non ti concederebbe neanche quindici minuti in una latrina all’aria aperta, a meno che non vi fosse scoppiato un incendio e tu non fossi legato alla tazza del cesso.
“Sei il peggior stramaledetto sfigato che sia mai esistito dal giorno in cui gli sfigati sono stati inventati, e sei come una fottutissima malattia. Continua a leggere

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Tre uomini in barca


tre-uomini-in-barca1Ho notato che la gente fa sempre giganteschi preparativi per i bagni ogni qual volta si reca in una qualsiasi località situata in prossimità dell’acqua, ma che poi, una volta arrivata, di bagni non ne fa molti.
Succede la stessa cosa quando ci si reca al mare. Io decido invariabilmente – pensando alla faccenda mentre mi trovo a Londra – che mi alzerò presto tutte le mattine e andrò a tuffarmi prima di aver fatto colazione, e religiosamente metto nella valigia un paio di mutande da bagno e un asciugatoio. Scelgo sempre un costume da bagno rosso. Mi piace immaginarmi con il costume da bagno rosso. Si addice alla mia carnagione. Ma quando arrivo al mare, in qualche modo non sento di desiderare quel tuffo mattutino così intensamente come lo desideravo quando mi trovavo in città. Continua a leggere

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Voeuna de quej


Me metti lì, la sera, su i bastion
in pee, fina che passa on quaj cojon:
ne passen tanti, se ne fermen pocch,
gh’è forsi nanca de tirà sù i socch.

Eh già, la profession l’è in decadenza
e tutt per colpa de la concorrenza
che ormai ne fann de nott e anca de dì
quej troij de lumagon de travestii.

Chi l’avariss mai ditt che la natura
fasess che i omen cambien serradura?
Chi l’avariss pensaa che Amanda Lear
je scalda anmò pussee che on ferr de stir?
E nûn ‘se gh’emm de fà? Pregà Gesù
che a tutt’i i travestii ghe stoppa el cuu!

Luciano Visintin, “El breviari di preghier cattiv” (Libreria Meravigli Editrice, 1979).

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I due volti di Milano


El milanes sfegataa

Ormai Milan l’è pù di milanes:
on tocchettin l’è riservaa ai cines,
on alter l’è di negher, ma in sostanza
hinn i terroni a vess in maggioranza.

Nûn ghe l’emm no cont lor, che staghe quiett,
ma on poo ghe tegnom anca al nost dialett
e sto Malano, sto guagliò… ma disi!
Semm minga borlaa giò a chilli paìsi!

No, chì me tocca propi parlà ciar
con quel fanigotton de San Gennar
e digh ch’el vegna sù a fà on censiment
de tutta quanta la soa brava gent;
e quej che cressen, che s’je porta via,
che nûn gh’emm no bisogn de compagnia.

El terron navigaa

Sto qua da cinque anni e quattro mesi
fra questi scassacazz’ ‘e milanesi:
mi dànno da mangià, ma per contorno
mi chiamano “terrone” tutto il giorno.

Sto fatto del “terrone” non mi va,
perché si presta ad ogni infamità:
per loro vuole dire sporco, fetente,
e non è giusto, non è vero niente!

San Salvatore mio, fammi far figli
con la velocità di sei conigli,
ché giusto in capo ad una generazione
si cambia tutta la popolazione
e i milanesi nuovi, qua in città,
diranno non “terrone”, ma “papà”.

Luciano Visintin, “El breviari di preghier cattiv” (Libreria Meravigli Editrice, 1979).

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L’interista


I giocatori dell'Inter festeggiano la conquista della Supercoppa 2008

Hinn robb de ciod, hinn robb de casciavid:
gh’hann no vergogna de robà i partid?
Sti goeubb, sti sciabalent, sti stortignaccol…
‘Na squadra? No: putost, cort di miracol! Continua a leggere

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American Gods


American Gods“Venendo in America la gente ci ha portato con sé. Hanno portato me, Loki e Thor, Anansi e il Dio-Leone, leprecauni, coboldi e banshee, Kubera e Frau Holle e Astaroth, e hanno portato voi. Siamo arrivati fin qui viaggiando nelle loro menti, e abbiamo messo radici. Abbiamo viaggiato con i coloni, attraversato gli oceani, verso nuove terre.
“Questa terra è sconfinata. Ben presto la nostra gente ci ha abbandonato, ricordandosi di noi soltanto come creature del paese d’origine, creature che credevano di non aver portato nel nuovo mondo. I nostri fedeli sono morti, o hanno smesso di credere in noi, e siamo stati lasciati soli, smarriti, spaventati e spodestati, a cavarcela con quel poco di fede o venerazione che riuscivamo a trovare. E a sopravvivere come meglio potevamo.
“E così abbiamo fatto, siamo sopravvissuti tenendoci ai margini, senza dare nell’occhio.”Ammettiamolo, esercitiamo una ben scarsa influenza. Li deprediamo, li derubiamo, e sopravviviamo; ci spogliamo, ci prostituiamo e beviamo troppo; lavoriamo alle pompe di benzina e rubiamo e truffiamo e viviamo nelle crepe ai margini della società. Vecchi dèi, in questa nuova terra senza dèi.”
“Adesso, come avete avuto modo di scoprire da soli, in America stanno nascendo nuovi dèi che crescono sopra nodi di fede: gli dèi delle carte di credito e delle autostrade, di Internet e del telefono, della radio e dell’ospedale e della televisione, dèi fatti di plastica, di suonerie e di neon. Dèi pieni di orgoglio, creature grasse e sciocche, tronfie perché si sentono nuove e importanti.
“Sono consapevoli della nostra esistenza, ci temono e ci odiano” continuò Odino. “Vi ingannate, se credete che non sia così. Ci distruggeranno, se glielo permetteremo. È tempo per noi di unire le forze. È tempo di agire.”

Neil Gaiman, “American Gods” (Mondadori, 2003).

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Nel fango del dio pallone


Fu in quel periodo che cominciai a prendere confidenza con le partite combinate. Non c’era niente di strano: quando a tutte e due le squadre, per ragioni di classifica, conveniva il pareggio sicuro, cioè un punto, piuttosto che rischiare lo zero punti della sconfitta, ci si metteva d’accordo in varie maniere. O prima della partita, fra gli allenatori, oppure direttamente in campo, durante la partita, fra noi giocatori. In pratica imparai la prima delle cose che nel calcio si facevano – che tutte le squadre, più o meno spesso, facevano – ma che non si dovevano dire, che dovevano restare un segreto: i pareggi combinati.
A volte capitava qualche imprevisto, come successe durante l’incontro Padova-Genoa. Nello spogliatoio, poco prima di andare in campo, Ghezzi ci disse: “Ho parlato con Rosa [allenatore del Padova, n.d.r.] e ci siamo messi d’accordo per il pareggio. E’ chiaro a tutti?”. Ci andava bene: un punto sicuro in trasferta era il massimo che potevamo sperare, dato il momento difficile della squadra. Ma in campo mezzo Padova si impegnò per vincere, e ci riuscì: il loro allenatore, infatti, aveva informato dell’accordo-pareggio solo alcuni dei suoi giocatori, e tutti gli altri avevano giocato per la vittoria. Nel dopo-partita Ghezzi era fuori dai gangheri: voleva prendere Rosa a cazzotti, noi giocatori, per impedirglielo, fummo costretti a tenerlo chiuso nello spogliatoio finché non si calmò.

Carlo Petrini, “Nel fango del dio pallone” (Kaos Edizioni, 2000).

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I Supereroi di Toronto


Ci sono 249 supereroi nella città di Toronto. Nessuno di loro ha un’identità segreta. Pochissimi indossano un costume. Nella maggior parte dei casi i loro superpoteri non comportano alcun vantaggio materiale. Anfibio può vivere sia sulla terra che sott’acqua, ma onestamente: a che gli serve? Gli sarà mai utile per trovare lavoro? Al momento Anfibio fa il corriere per Speedy, un’agenzia di recapiti del centro.
Persino la Clessidra, unica tra i supereroi a viaggiare nel tempo, non crede che il suo su-perpotere sia niente di eccezionale. Ti fa no tare subito che tutti sono in grado di viaggiare nel tempo, e infatti procedono in modo costante e inesorabile verso il futuro: un vero superpotere sarebbe la capacità di non viaggiare affatto nel tempo, di arrestarsi nel presente.
Anche se non esistono supercattivi, nessun supereroe è disposto a crederci. Ognuno di loro è convinto che uno degli altri sia un supercattivo. La Perfezionista si scontra con Televendita. Businessman e il Sindacalista si considerano reciprocamente l’incarnazione del male. Anche Anfibio è ai ferri corti con l’I-namovibile.
A ogni festa, al padrone di casa tocca inevitabilmente ascoltare le lamentele di un qualche supereroe scandalizzato: “Non posso credere che tu abbia invitato quello lì”. Oppure capita che due supereroi si imbattano l’uno nell’altro cercando il bagno, e si blocchino guardandosi in cagnesco e strillando: “Tu sei il cattivo! Sei un mostro!”
Le feste migliori le dà la Coniglietta Antistress…

Andrew Kaufman, “Tutti i miei amici sono supereroi” (Meridiano Zero, 2006).

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Facchetti celo, Giubertoni Manca!


Sei stravaccato sul divano davanti al televisore in attesa del tuo programma preferito, “Oggi le comiche”: nell’attesa guardi svogliatamente l’altro canale (se non te lo dovessi ricordare, sappi che allora c’erano soltanto “il primo” e “il secondo”).
Mentre compare finalmente il trinagolino bianco che segnala l’inizio di un nuovo programma sull’altro canale, suonano alla porta. Ti alzi per cambiare (altro che telecomando!) e arriva la mamma: “E’ Francesco. Vuole sapere se scendi a giocare.”

E’ il 1973, a quanto ci raccontava Domenico Di Giorgio verso la fine del XX secolo in un librettino da 2.000 lire che aveva lo stesso titolo di questo post.

L’Italia era sull’orlo della crisi economica che porterà all’austerity: tra breve le automobili circoleranno a targhe alterne per permettere di ridurre la nostra dipendenza dai paesi fornitori di petrolio, e il governo sarà costretto a una serie di misure impopolari per tentare di ripianare il bilancio. […]
Ma cosa importa? Sei un bambino di 7 anni con un problema molto più grande: dopo mesi di duro lavoro e di estenuanti trattative ti mancano ormai solo quattro figurine per finire l’Album dei Calciatori 1972-73, e vuoi assolutamente trovarle!
1) il presidente del Torino, Orfeo Pianelli.
2) la squadra del Foggia.
3) uno degli ‘altri titolari’ della Ternana, Ermenegildo Valle.
4) il più raro di tutti, lo stopper dell’Inter Mario Giubertoni.

Facchetti celo, Giubertoni Manca!” è un rapido libro-gioco che mette il lettore nei panni di un ragazzino che ha un solo pomeriggio per trovare quelle quattro mitiche figurine. In più, presenta le regole di diversi giochi che da ragazzini si facevano con le figurine, e che magari si possono fare ancora oggi senza vergogna, sempreché si riesca a ritrovare in solaio quell’enorme mazzo di doppie che si scambiava con gli amici…

Per chi, come me, non avesse mai avuto occasione di giocare con la versione cartacea del libro di Di Giorgio, quella elettronica si può scaricare nel sito di Librogame’s Land.

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Il venditore di armi


Immaginate di dover rompere il braccio a qualcuno.
Destro o sinistro, non importa. Il punto è che dovete romperlo, perché se no… be’, nemmeno questo importa. Diciamo che se non lo fate vi succederanno brutte cose.
Ora, la mia domanda è questa: rompete il braccio in fretta (snap, ahi!, scusi, mi permetta di aiutarla con questa stecca di fortuna), oppure trascinate la faccenda per otto minuti buoni, aumentando di tanto in tanto la pressione a dosi minime, finché il dolore diventa rosa e verde e caldo e freddo e del tutto insopportabile, da ululare?
Appunto. Ovvio. La cosa giusta da fare, l’unica cosa da fare, è concludere alla massima velocità possibile. Rompere il braccio, offrire un brandy, fare il bravo ragazzo. Non possono esserci altri risposte.
A meno che.
E se odiaste la persona alla quale è attaccato il braccio? Se la odiaste proprio sul serio?

Hugh Laurie, “Il venditore di armi” (Marsilio, 2007).

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Amabili resti


Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre del 1973. Negli anni Settanta, le fotografie delle ragazzine scomparse pubblicate sui giornali mi somigliavano tutte: razza bianca, capelli castano topo. Questo era prima che le foto di bambini e adolescenti di ogni razza, maschi e femmine, apparissero stampate sui cartoni del latte o infilate nelle cassette della posta. Era quando ancora la gente non pensava che cose simili potessero accadere.

Alice Sebold, “Amabili resti” (Edizioni e/o, 2002). Continua a leggere

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La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo


“Conosci la legge di gravità, vero? Più una cosa è grande, più ha massa, e più esercita attrazione gravitazionale e attrae a sé piccole cose che le orbitano intorno all’infinito…”
“Sì…”
“Mia madre che muore… è il fulcro… tutto il resto le gira intorno all’infinito… sogno la scena, e inoltre… è la metà dei miei viaggi nel tempo. Ci vado di continuo. Se tu potessi trovarti lì e indugiare sopra la scena dell’incidente, cogliendone ogni dettaglio, la gente, le automobili, gli alberi, i mucchi di neve, se avessi abbastanza tempo per osservare davvero ogni cosa mi vedresti. Sono dentro le automobili, dietro i cespugli, sul ponte, sopra un albero. Ho visto la scena da ogni angolazione, partecipo persino ai soccorsi: ho chiamato l’aeroporto da una vicina stazione di servizio per far avere a mio padre il messaggio di precipitarsi in ospedale. Sono stato seduto nella sala d’attesa a guardare mio padre che entra a cercarmi. E’ terreo, sconvolto. Ho camminato lungo la banchina aspettano che il il mio piccolo sé comparisse, e ho avvolto in una coperto le spella di un bambino esile. Ho guardato il mio faccino incredulo e ho pensato… ho pensato…”
Adesso sto piangendo. Clare mi abbraccia e io piango senza far rumore sul suo seno coperto dal maglione di mohair.
“Cosa? Che cosa hai pensato, Henry?”
“Ho pensato: ‘Dovevo morire anch’io’.”

Audrey Niffenegger, “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo” (Mondadori, 2003).

Secondo quanto scrive l’Hollywood Reporter, Eric Bana (“Munich“, “Hulk“) e Rachel McAdams (“Red Eye“, “My Name is Tanino“) saranno i protagonisti dell’adattamento cinematografico del romanzo di Audrey Niffenegger “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo“, pubblicato in Italia da Mondadori.

Il libro narra la storia d’amore tra Henry DeTamble e sua moglie Clare Abshire. Henry soffre di uno strano disordine genetico che è causa di involontari balzi nel tempo, la cui attività è paragonata a quella dell’epilessia o degli attacchi di panico. Henry non è in grado di controllare il momento del balzo, l’anno di destinazione né la durata della sua permanenza. In più, il suo corpo rimane dell’età che lui ha effettivamente vissuto, quella che ha nel momento in cui parte, non cambia in relazione all’età che avrebbe nell’anno in cui si ritrova di volta in volta.

Raccontato da entrambi i punti di vista, questo bel romanzo racconta le difficoltà della coppia nell’affrontare una situazione così particolare e nel vivere in maniera soddisfacente i giorni che riescono a passare insieme, a prescindere dall’età che i due hanno in quel momento. Henry e Clare, infatti, hanno ad ogni loro incontro una differenza di età diversa, e visto che i viaggi hanno destinazioni non ordinate cronologicamente la loro conoscenza reciproca non è mai allo stesso livello.

The Time Traveler’s Wife” sarà prodotto dalla New Line Pictures e sarà diretto dal tedesco Robert Schwentke, già regista del “Flightplan” con Jodie Foster. Le riprese dovrebbero iniziare in settembre, quando la McAdams avrà finito di girare “The Return” di Neil Burger. Eric Bana è invece il protagonista di “Lucky You” di Curtis Hanson, che uscirà negli Stati Uniti tra pochi giorni, e di “The Other Boleyn Girl“, che arriverà nelle sale statunitensi a Natale.

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Una favola


Mi compro una bambola gonfiabile perché voglio qualcosa da scoparmi senza doverci per forza parlare. Sulla scatola c’è scritto Bambola dell’amore. La porto a casa e la gonfio. E’ carina, sexy e innocente.

Me la scopo. Siedo con lei sul divano e guardo la Tv e le poso un braccio sulle spalle di plastica e mi tengo il cazzo con l’altra mano.

Me la scopo un altro po’. Al mattino la sgonfio e la ripiego e la metto in un cassetto.

Quando la sera torno a casa dal lavoro, la gonfio per bene ed è di nuovo piena e rigida. Me la porto in camera da letto e me la scopo. Guardo la Tv col braccio sulle sue spalle, una mano sul cazzo.

Le cose vanno avanti così per un po’.

Joe R. Lansdale: “La bambola gonfiabile: una favola“,
da “Maneggiare con cura” (Fanucci, 2002).

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